Il mio posto nel mondo

“Il mio posto nel mondo”

By Flyfood – Concept SOSTANZA 2024-2025

Ognuno di noi cerca qualcuno o qualcosa che lo veda per quello che è. Quando succede la magia si compie.

Nella vita o in cucina.

Rodolfo è un giovane pomodoro nato nel cuore più caldo della Campania a Mariglianella. Già sulla pianta sentiva i discorsi dei compagni di crescita che si immaginavo protagonisti di grandi spaghettate, qualcuno, per sentito dire, sognava di finire sui paccheri di un misterioso ristorante chiamato Da Vittorio. Rodolfo però voleva di più, avrebbe voluto essere al centro di un piatto, rispettato e valorizzato. Non un pezzo di una grande salsa dove si sarebbe annullato. Amato, ma annullato. Al momento della raccolta Rodolfo aveva cominciato a saltare, la notte quando nessuno poteva vederlo, da una cassetta all’altra per sfuggire ogni destinazione che volesse dire “passata”.

Lucrezia è nata a Ispica, non lontano dalla spiaggia di Santa Maria del Focallo. Il mare da quelle parti riempie l’aria ovunque. Siamo in Sicilia, il mare è sia dentro che fuori. Lucrezia è cresciuta perfetta. Forme e colore la rendeva invidiata e invidiabile. Quando la luce del sole l’ha illuminata in tutta la sua maturità ci fu un colossale wow. Per tutti era destinata a qualcosa di speciale, anche se molti avrebbero voluto addentarla, consumarla immediatamente. Ma non si poteva sprecare quella meraviglia, la natura si era impegnata davvero tanto con lei. Lucrezia ascoltava tutto quello che le capitava intorno. Ascoltava e non capiva moltissimo, voleva però guardarsi almeno una volta, vedere tutta questa magnificenza di cui parlavano gli altri. Vedere come poteva essere nascosta in una carota.

Romeo era perennemente arrabbiato. Il primo motivo era chiaro a tutti. Stava crescendo, ma soprattutto dormendo, tra le morbide e sensuali radici di un faggio quando un cane, ma dico un cane, lo aveva svegliato e scombussolato e poi era arrivato un uomo, sgarbato, e con una paletta lo aveva tirato fuori dalla terra. Non solo, ed ecco il secondo motivo. Si era sentito dire, non in faccia perché nessuno lo fa mai, “ecco è nero, ma cosa me ne faccio di un altro nero”. E poi era finito sotto l’acqua fredda e un ragazzino con una spatola lo aveva strapazzato ancora di più dicendo: “lucidiamolo bene, almeno qualcuno se lo compra”. Romeo era, per chi non lo avesse ancora capito, un tartufo nero, spuntato nel Roero in quelle stesse radici dove nascono i bianchi. “Maledetti bianchi – dice Romeo – loro hanno la gloria, la fama e vengono tagliati fine fine per farli durare in eterno mentre tutti li guardano a bocca aperta. Noi no. Io voglio una vita diversa”.

Avreste mai immaginato tutti questi pensieri tra i prodotti della terra? E invece i vegetali sono pensanti e anche parlanti perché quando Rodolfo e Lucrezia si ritrovano vicini sul furgone che li stava portando da qualche parte comincia a dialogare. Con quella magia che hanno gli esseri viventi quando comunicano per la prima volta, diventano squarci nell’anima. Spaccature nel cielo da cui le parole fruiscono come da una diga esplosa.

Rodolfo parla, parla, parla racconta i suoi sogni di pomodoro. Il suo desiderio di essere protagonista di un piatto e la paura di diventare salsa. Amato, ma perso. Capace di piacere a tutti senza mai essere sé stesso. Lucrezia ogni tanto alzava le sopracciglia rosse al cielo, il problema di Rodolfo lo aveva capito dopo tre parole, ma lui continuava. Alla prima pausa un po’ più lunga Lucrezia irrompe: “Io invece sono protagonista, tutti mi dicono che sono bellissima anzi perfetta ma io non mi sono mai vista. Tu vuoi vedermi?”. Rodolfo resta, finalmente, senza parole. E gli esce un timido: “Certo”. Salta dalla sua cassetta a quella delle carote e si trova faccia a faccia, diciamo così, con Lucrezia. “È vero sei bellissima, perfetta, devi essere destinata a qualcosa di speciale. Mi hai tolto ogni parola”.

Lucrezia non è tipo da compiacersi. È tutta la vita che sente complimenti: “Sì sono bella, bella per tutti, ma io non mi sono mai vista. Non è giusto. Magari non mi vedrò mai”.

Rodolfo si lancia in commenti da baci Perugina: “Vorrei che potessi guardarti con i miei occhi. Te li regalerei”. Lei risponde secca: “Ma cosa mi importa. Io voglio vedermi con i miei”.

Il viaggio si interrompe bruscamente. Rodolfo riesce a vedere, non si sa come, che la brusca frenata dell’autista un po’ distratto è a un casello dell’autostrada: Marene. Rodolfo conosceva le amarene, di una si era pure perdutamente innamorato mentre cresceva sulla sua pianta, ma Marene non lo aveva mai sentita. Rodolfo e Lucrezia però avevano capito che qualcosa stava accadendo. Ma non sapevano cosa.

Romeo invece stava in un angolo dello scaffale del lussuoso negozio che vendeva tartufi nel centro di Alba. Era novembre, quindi, era chiaro che esisteva solo il bianco, ma lui nero, sodo e tosto non era tipo da amare questo stare in disparte, ignorato. Però succede qualcosa. “Stiamo preparando un pranzo importante ma non vorrei il solito tartufo bianco, quasi scontato in questo periodo, vorrei qualcosa di diverso ma ugualmente capace di stupire”. “Caro Flavio – dice un’altra voce – se avessimo qualcosa di diverso in questo momento della stagione saremmo a cavallo, ma tutti vogliono il bianco e ci adeguiamo”.

Romeo schiumava di rabbia. Ma qualcosa succede. “Mi fai vedere quel nero là in fondo. Sembra un pompelmo ma ha una rotondità perfetta”. “Va bene Flavio – dice l’altra voce – ma è un nero. Chi li vuole i neri”. Flavio, abbiamo capito che si chiama così va dritto per la sua strada: “Il nero buono, di qualità e così bello oggi ha una storia da raccontare unica che se ben scritta può dare soddisfazione più del bianco. Sai noi di Fly siamo abituati ad andare oltre gli schemi e valorizzare al meglio quello che ha tanto da valorizzare”. Romeo era già innamorato. “Ma senti che profumo – continua Flavio – che consistenza. Lo porto via con me”.

A Romeo il cuore batteva forte. Era in macchina con questo Flavio, il primo essere umano che lo aveva capito. La macchina si ferma e dopo qualche minuto Flavio lo tira fuori dalla tasca: “Ecco la soluzione per il nostro evento della prossima settimana”. Le altre persone presenti non sono così d’accordo ma Flavio trova la giusta mediazione. 

Romeo finisce in una stanza buia e un po’ fredda, ma ormai è felice. Sa già che finirà bene. Nella stanza sente un gran vociare, qualcuno parla, parla, parla. È Rodolfo. Romeo tende l’orecchio e sente questo pomodoro che non smette mai di parlare dire ancora una volta: “Io voglio essere valorizzato”. E una voce femminile – noi sappiamo che è Lucrezia – dire al pomodoro: “Sento che siamo nel posto giusto”. Romeo interviene e racconta la sua storia, li invita ad avere fiducia in questo posto.

La mattina dopo sentono una voce femminile arrivare nella stanza. “Andiamo a vedere questo tartufo nero alla luce del giorno – dice qualcuno con voce ferma – e guardiamo se tra queste verdure qualcosa può diventare protagonista del nostro evento”. Si sentono i passi arrivare fino allo scaffale dove si trova Romeo, ma intanto dopo le chiacchiere della notte Romeo si era addormentato vicino a Lucrezia e Rodolfo e Marianna arriva vicino a quello scaffale accompagnata da Bruno e Luca. “Guarda – dice Marianna – sembrano un quadro questi tre insieme, un‘opera d’arte. Chi li ha messi così ha avuto davvero una grande idea. Valorizziamo l’ingrediente, spieghiamo che la nostra materia prima non è solo selezionata, ma è scelta”. E intanto prende in mano Lucrezia, la carota, la mostra ai compagni di viaggio, che in realtà sono soci: “Guardate la perfezione. Il miracolo della natura in questa carota. La bellezza”. E mentre la mostra per un istante infinito Lucrezia resta prigioniera di uno specchio, finalmente si vede, si ascolta nelle parole di Marianna e trova la sua gioia. Il suo posto nel mondo.

Luca soppesa Rodolfo: “Questo pomodoro non è destinato a una salsa, ma a essere celebrato come ingrediente, come attore protagonista. Chi lo mangerà dovrà sapere che è lui al dentro del nostro piatto”.

La settimana dopo Lucrezia, Rodolfo e Romeo sono i protagonisti di uno straordinario evento curato da Marianna, Bruno, Flavio e Luca. Una serata in cui le materie prime sono state scelte e apprezzate per quello che sono, ma prima di tutto viste. Nella loro stagionalità, nella loro capacità di dare il meglio e di essere quello che la natura offre. Al momento giusto.

Lo so che pomodori, carote o tartufi che parlano sembrano una favola o un acido davvero ben riuscito, ma chi le sa ascoltare impara il linguaggio delle materie prime e le aiuta a trovare il loro posto nel mondo. Serve attenzione, visione e anche un po’ di comprensione perché la natura ne ha sempre bisogno. E lì in quel punto preciso le materie prime, come le persone, danno il meglio. E sono felici. E dove c’è felicità si sta bene. Sempre.

E così succede che nel cuore di un evento e della sua preparazione, nel pieno del lavoro, materie prime, utensili e anche qualche ignaro essere umano cominciano a interagire. A condividere storie.

Rodolfo, che ormai si sente il re della festa, si avvicina a un contenitore dove ci sono patate e carote a pezzi e subito teme che sia stata quella la fine di Lucrezia, ma poi la vede danzare in lontananza e si calma. “Mi dispiace vedervi così mescolate, meritavate una fine migliore”.

“Cosa vuoi dire? – dice una voce secca e un po’ arrabbiata – anzi, come ti permetti? Io sono Vanessa l’insalata russa. Patate, carote e tutti gli altri ingredienti qui sono una cosa sola. Siamo come una squadra e più ci amalgamiamo più vinciamo, ma ogni ingrediente fa sentire il suo sapore quando è il momento, siamo la diversità che rende unici. E questo succede per tutto l’amore con cui vengo preparata ogni volta. Amore, passione attenzione, ingredienti selezionati e preparati ogni volta seguendo quasi un rituale. Così ogni volta nasce Vanessa l’insalata russa”. Tanta passione tanto orgoglio fanno cambiare idea a Rodolfo: “Ma allora se le cose vengono fatte con amore e passione non si perde identità ma si guadagna forza. Bella questa cosa che ho imparato”.

Romeo invece si sente un principe, adagiato su un panno e messo sotto una campana di vetro per preservare il suo profumo. Guarda e ascolta, anzi ha scoperto di sentire anche i pensieri come se la continua condivisione di quello che gli succede intorno lo facesse diventare parte di un tutto.

Così si perde a guardare Antonietta la cuoca che taglia con maestria le verdure, quelle stesse che diventeranno poi Vanessa l’insalata russa. Antonietta è felice mentre fa il suo lavoro. A casa ha qualche problema di cuore e qualche altro di famiglia, come tutti, ma in quel lavoro trova soddisfazione i suoi pensieri parlano per lei: “Mi ricordo ancora la prima volta che sono entrata in questa azienda, mi sono sentita parte di un progetto. E’ faticoso, come ogni lavoro certo, e la responsabilità di essere parte di qualcosa aumenta l’attenzione e quindi la fatica, ma quando l’evento comincia ed è tutto a posto, tutto perfetto allora sai che ne hai fatto parte. E quando finisce ti fanno sentire un pezzo di quel successo. C’è la fatica, ma c’è il giusto guadagno e il tempo di vivere un pezzo di vita. E quando sul lavoro ti senti al posto giusto anche nella vita riesci a capire ogni cosa al meglio. Ogni tanto qualcuno mi prende in giro, mi dice che sono solo una cuoca, mica una chef. Ma non sanno quanto sia importante per me imparare ogni giorno e non sapete quanto si può imparare dal taglio di una patata, da una cottura perfetta e dalla conoscenza di un ingrediente”.

Romeo dal suo prezioso punto di osservazione continua a sentirsi un po’ principe e vorrebbe tanto essere affettato dalle mani e dal cuore di Antonietta. Ogni protagonista di questa storia sta imparando che il modo migliore per sentirsi sé stesso e apprezzato è farlo dentro una squadra.

Intanto Lucrezia ha scoperto gli specchi. Ha scoperto che per vedersi basta una superficie lucida, il suo arancione brilla nelle piastrelle bianche, nelle pentole, nei vassoi e anche in una bottiglia piena di un liquido giallo. Il gioco di luce tra il contenuto della bottiglia e il colore di Lucrezia cattura l’attenzione della carota. Che parlando tra sé e sé sussurra: ma come sto bene con questo colore. “Si staremmo molto bene insieme”. Lucrezia fa un salto all’indietro: “Tu chi sei, anzi cosa sei?”.

“Sono Giuseppe, l’olio extravergine d’oliva. Nasco da olive taggiasche della Liguria, ma ho sempre preferito chiamare la mia mamma giuggiolina. Sono cresciuto con tante attenzioni perché patisco il freddo e piaccio un po’ troppo alle mosche ma la fatica che hanno impiegato a coltivarmi, raccogliermi e farmi diventare quello che sono fa sì che mi senta nel mondo giusto. Qui non sprecano, ma valorizzano, mi hanno scelto perché ne basta poco per dare un sapore speciale a un piatto”. Lucrezia è estasiata: “Quindi ne basterebbe una goccia per rendermi speciale, una goccia di olio extravergine d’oliva”. “Si, esatto – dice Giuseppe – è proprio così. Una volta ti avrebbero annegato in questo olio, anzi in altri olii senza la mia storia, ma oggi quella goccia è come le parole che contano, devono essere giuste. Non troppe, perché troppe annegano il significato. Invece una goccia nel momento giusto, alla temperatura giusta rende tutto perfetto. E soprattutto è piena di verità, quella verità capace di esaltare il mio e il tuo sapore”.

Lucrezia guarda i riflessi dorati di Giuseppe e sospira: “Non vedo l’ora”.

Lucrezia vive come una star la scoperta di sé stessa, riuscire finalmente a vedersi la rende piena di energia. Si riflette ovunque.

E nel suo danzare si trova davanti a uno specchio quasi perfetto, una pentola lucidissima. Lucrezia è sempre più affascinata dalla propria immagine da non accorgersi che anche quella pentola ha vita. “Non avevo mai pensato di essere usata come uno specchio” dice una voce rotonda quasi ridendo. “E tu chi sei?” dice Lucrezia divertita. “Sono Federica la pentola, specializzata in soffritti”. “Una pentola? – incalza Federica – Chissà quante carote come me hai cucinato…”. “Si, davvero tante – dice Federica – abbiamo chiacchierato molto, mi hanno raccontato le loro storie, ogni piatto racconta una storia e lo fa attraverso i suoi ingredienti. Le parole non tutti possono sentirle, ci vogliono cuori speciali, ma tutti possono sentire gli altri suoni delle parole che diventano profumi e sapori. L’importante è prendersi il tempo di ascoltare”. “Ma tu sei magica!” dice Lucrezia volteggiando intorno alla pentola. “Io da sola – dice Federica – non sono magica sono soltanto un lucido specchio d’acciaio dove tu puoi volteggiare. Anzi da sola non sarei neanche troppo lucida”.

“Vedi quella ragazza – continua Federica la pentola – lei sa togliermi dal fuoco al momento giusto, accarezzarmi delicatamente con un cucchiaio per permettere agli aromi e ai profumi di far sentire la loro voce, aggiunge un filo d’olio quando è necessario o mezzo bicchiere d’acqua se serve. Si chiama Giulia e a volte mentre cucina canta. E così bello vedere la passione che ci mette, mi fa sentire importante e fa sentire importante ogni singolo ingrediente. È questo il segreto dei profumi che diventano una canzone. A volte mi sembra sentire i pensieri di Giulia e la sua voglia, ogni volta, di preparare qualcosa di speciale”. Giulia ha scelto di lavorare in cucina, ha studiato per farlo e ogni giorno va al lavoro con la voglia di imparare e fa sentire speciali oltre alle persone che assaggeranno i suoi piatti anche gli ingredienti e gli oggetti che servono per ogni ricetta. “E non dimenticare mia piccola e bellissima carota – spiega Federica la pentola – che se non fosse per il lavoro di Giulia, Mario, Antonio, Teresa io non sarei neanche così brillante e lucida da permetterti di specchiarti e danzare. Ogni cosa bella non è mai un caso. Ma è frutto del lavoro, della squadra e dei progetti”.

“Non prenderti tutti i meriti amica mia qui siamo diverse e ognuna ha la sua funzione” la voce un po’ acida e tonante è quella di Marzia la padella. Rossa fiammante con il manico lungo, larga spaziosa ma con il fondo basso. Perfetta per frittate o per mettere in atto tutto quello che ha bisogno di essere reso irresistibile per il palato da un filo d’olio o da un pezzo di burro. “Ma che filo d’olio, a me piace con tanto olio. Mi piace renderlo bollente” dice ancora Marzia. Federica sorride: “Certo Marzia, tranquilla c’è posto per tutti. Anzi ognuno di noi fa la sua parte per quello che serve”.

“Certo, certo – replica Marzia che un po’ indispettita lo sembra davvero – ma se non intervenivo tu mica spiegavi alla nostra carotina che qui in cucina, come dappertutto, è la diversità a rendere le cose perfette. Certo c’è qualcuno che usa la pentola per soffriggere per la pigrizia di non fare le cose bene, ma non è così. Io sono nata padella e ho sempre sognato di essere una buona padella e accidenti se lo sono diventata. Ognuno deve avere l’orgoglio di quello che sa fare bene e farlo al meglio. Uno non è uguale a uno e tutti non fanno tutto. Ma se dove ci mettiamo il sale ci mettessimo lo zucchero dove andremmo a finire!”.

Marzia è inarrestabile: “Ecco tu amica pentola, servi per le lunghe cotture, magari per la pasta, io invece sono per i momenti intensi dove bisogna cogliere l’attimo e sapere quando è il momento di fermarsi anche se tutto è durato poco. Il dialogo con i cuochi deve essere perfetto, basta un istante in più che l’ingrediente non raggiunge la perfezione. Ma per questo conta essere diversi. Tu fai il tuo e io faccio il mio, questa diversità rende tutti migliori. Io sarei offesa a morte se qualcuno pensasse di usarmi per cuocere la pasta. Magari saltarla il giorno dopo o rifinirla con un bel sugo questo sì. Ma basta così”.

Proprio mentre Marzia finisce il suo prorompente discorso si sente un rumore forte e intenso e nella grande cambusa dove tutti i protagonisti hanno trovato casa passando da uno scaffale alla cucina arrivano delle casse con dentro delle bottiglie.

Giuseppe l’olio d’oliva non ha dubbi. “Sono arrivati degli amici miei, riconosco il tintinnare del vetro. Qui hanno capito che per fare le cose bene serve tanto olio extravergine d’oliva. Ehi li dentro da dove venite? Liguria, Toscana, Puglia, Sicilia?”

Silenzio. Subito nessuno risponde. Poi con calma si sente un rumore di sbadigli. “Vengo dalle Langhe, precisamente da Monforte d’Alba. Ho passato un anno a riposare in bottiglia dopo averne trascorso uno in una botte grande insieme a tanti amici”. “Ma che olio sei?” dice perplesso Giuseppe.
“Olio? Ma che dici” e parte una risata all’unisono da tutte le scatole. “Sono vino, E che vino. Giulio il Nebbiolo delle Langhe”.
Giuseppe intimorito: “Io non so niente di te. Che ci fai qui?”
Giulio con questo suo accento molto piemontese comincia a raccontare: “Vengo da un vigneto appoggiato su bellissime colline, lungo la strada tra Barolo e Monforte, molti di noi da quelle parti diventano Barolo, ma anche quando ci chiamiamo con il nome storico della nostra famiglia, nebbiolo appunto, siamo speciali, Siamo il frutto della terra, della tradizione, di un territorio che finisce nel bicchiere. Immagina il nostro colore rosso che quando diventiamo un po’ più vecchi prende quei riflessi aranciati che nel bicchiere sembra un tramonto. A noi piace accompagnare la grande cucina. Non solo quella delle Langhe, andiamo bene con tutte le grandi cucine e anche con il pesce. Già perché questa storia di berci solo con la carne è roba da vecchi. Noi stiamo bene su tutto, come il nero. E ti dirò un segreto: andiamo bene anche in estate basta lasciarci a rinfrescare qualche minuto in una “frappeuse” con un po’ di ghiaccio e vi stupiamo. Noi siamo i vostri compagni di viaggio. Il signor Flavio ha scelto questo nebbiolo perché non è pesante, ma affascinante e si mette al servizio di quello che c’è nel piatto. Ma attenzione, se qualcuno ci vuole bere come aperitivo o per accompagnare una bella chiacchierata o un brindisi importante. Noi siamo qui”.

Giuseppe resta senza parole nell’ascoltare l’arte oratoria di Giulio che lo vede un po’ imbarazzato e conclude: “Ti stupisce la nostra lingua sciolta? Pensa che sappiamo trasmetterla anche a chi ci assaggia, ma senza eccessi perché altrimenti si perde il filo e si dicono cose sconsiderate e soprattutto non si apprezza più quello che si beve”.

Le parole di Giulio hanno attirato l’attenzione di un bellissimo vaso di margherite. Una di loro, si chiama Mirta, un po’ timida, ancora chiusa tra i suoi petali, si è emozionata a sentire la parola “colline”. La sua mente è andata a quel grande prato dove l’hanno raccolta poche ore prima, dove si svegliava con il sole, veniva accarezzata dal vento e nutrita dalla pioggia. Mirta si ricorda bene come l’energia del sole l’ha fatta crescere e come avesse desiderato mostrarsi al mondo. Poi quando l’hanno raccolta ha avuto un po’ di paura. Nel mondo delle margherite girano leggende anche un po’ paurose come quella di enormi animali con le corna che divorano ogni erba o peggio ancora di giganteschi oggetti rumorosi che passano nei prati e poco dopo non c’è più traccia di intere famiglie di fiori. A lei era accaduta una cosa completamente diversa: una mano l’aveva raccolta delicatamente e aveva sentito una voce: “Questa va bene per la signora Marianna”. Era finita in questo vaso insieme ad altre margherite ed ora era finita in questo mondo fatto di olio, di vino, di carote. Tutte con una storia da raccontare. Mirta la sua storia se la teneva stretta per sé, ma le piaceva essere parte di qualche cosa. Ed erano queste le parole che aveva in mente quando la mano della signora Marianna prende il vaso dove si trovava Mirta e lo porta in una stanza piena di luce. La stessa mano, con grande delicatezza, le sparge su una tovaglia bianca, anche loro ingredienti di una coreografia, in mezzo a bicchieri, piatti, posate, ma anche rami e colori. “Questa è proprio una storia che devo raccontare, stavolta non resterò zitta” dice Mirta aprendo con orgoglio tutti i suoi petali.

Intanto tra cucina e cambusa tutto si sta animando. La calma delle ore precedenti diventa, con un crescendo costante, lavoro, attività, frenesia, parole.

“Uffa, sono ancora piegata. Quando tempo ci mettono a prepararmi devo andare in scena”. Romeo il tartufo nero dall’alto del suo scaffale sente questa voce stizzita e vede che è quella di una tovaglia bianca enorme, bellissima.
“Chi sei” dice Romeo. “Come non lo sai? Sono Tiziana la tovaglia, sono io che rendo straordinari i momenti in cui voi andate in scena, sono l’ingrediente segreto, anzi, l’ingrediente perfetto” “Non esagerare – dice Romeo che quella lezione l’aveva già imparata – qui non esistono superstar, siamo tutti parte di qualcosa. Ingredienti. E poi mi hanno raccontato che molto spesso oggi non si usano le tovaglie”. “Caro Romeo, è vero, oggi capita spesso che le tovaglie vengano dimenticate ma rappresento uno stile, una necessità e non pensare mai che essere parte di una squadra voglia dire mettere da parte l’orgoglio. Ognuno di noi quando va in scena deve vivere il suo momento come quello di una superstar. Io posso essere la protagonista assoluta o un dettaglio dove serve il mio tessuto bianco, ma comunque vivo sempre il mio andare in scena come il mio momento, Il mio assolo e così mi preparo per farlo. Anche chi non ha la stessa voglia di fare bene posso apparire eccessiva, ma quando posso far sentire la mia voce tutti ne avranno giovamento. Se un assolo è fatto al meglio rende migliore il lavoro di tutti noi”.

Romeo resta di nuovo senza parole, è così orgoglioso di far parte di quella squadra dove ogni voce gli insegna sempre qualcosa.
Andrea il peperone e Marcella la cipolla.

“Ma quanto è bella quella tovaglia – dice in un altro angolo della cambusa Andrea il peperone – elegante, perfetta, sa occupare lo spazio in un modo unico, totale, mi piacerebbe essere servito sopra di lei”. “Come sei superficiale – dice a pochi centimetri da lui Marcella la cipolla – io sono bionda ma non sono così leggera, quella tovaglia è sempre uguale a sé stessa, io invece cambio sapore a seconda di come vengo preparata, servita, gustata assaggiata. Lei, al massimo cambia colore quando le versano un po’ di sugo addosso”. “Non essere gelosa Marcella, lo sai che preferisco te. Stavo solo ammirando la sua bellezza, su quella sarai d’accordo no?” “Sì ma la bellezza è solo una parte e poi cosa vuoi dire che io non sono bella?”. “La bellezza di uno non esclude quella dell’altro ci sono tanti tipi di bellezza e dobbiamo imparare ad apprezzarle tutte. Io la tua la apprezzo intensamente lo sai dal profumo della tua pelle, alla tua fragranza, al tuo sapore unico che si può gustare sia crudo, che su una focaccia ma che diventa magico quando ci uniamo insieme in un soffritto capace di rendere indimenticabile qualunque sugo, qualunque pasta”. “Queste parole mi conquistano ogni volta caro Andrea – dice Marcella ora per nulla arrabbiata anzi – ci sono bellezze diverse ma ogni tanto ho bisogno che apprezzi la mia. Anche tu sei perfetto crudo, su una focaccia, ma anche sbollentato o rosolato o appoggiato su un’acciuga, però è vero che insieme diamo il meglio ed è per questo che siamo una coppia inseparabile, ma l’amore, l’essere coppia e l’essere squadra ogni tanto vanno celebrati. E quando non lo facciamo divento gelosa”.  Peperone e cipolla sono una delle coppie d’acciaio della cucina, discusse, a volte separate perché troppo forti, a volte in contrasto, ma alla fine si ritrovano sempre e le loro discussioni fanno sorridere tutta la cambusa.

Sempre nella cambusa ma in un angolo c’è un prosciutto. Timido, riservato, quasi insicuro. In cambusa entra Flavio accompagnato da due persone e dice indicato il prosciutto: “Questo è il presciutto, un prodotto straordinario, ancora poco conosciuto, ma davvero unico e dalla storia antica” dice Flavio quasi accarezzando il prosciutto. Dopo pochi istanti tutti in cambusa guardano il presciutto e Lucrezia – che non sta mai zitta – spara subito la domanda: “Ma tu chi sei, ma nessuno di noi ha ricevuto questo onore”. “Io sono Donato, il presciutto di Roccaforte Mondovì, neanche io mi aspettavo questo onore, ma qui sono bravissimi a scoprire, a valorizzare, a rendere importante quello che il mondo ancora non conosce. Io sono il figlio di un piccolo produttore che ci mette l’anima per far venire buonissimi me e i miei fratelli, ma poi lavora così tanto che non ha il tempo per raccontarsi, ci vogliono quelli come Flavio e gli altri del suo team per scoprirci e raccontarci. Io non sono nessuno, spero di essere buono e spero di rendere più bella e forte questa squadra. Ma se non do il meglio in un luogo dove credono in me, dove hanno fiducia in me non so dove lo posso dare. Sono partito da un piccolo paese lungo il fiume e ora sono qui con voi. È un grande onore”. Lucrezia è sia commossa, ma ormai il momento dell’evento è vicino per tutti, si va in scena.

Entrano sempre più persone, ognuno con un dettaglio, ognuno unico anche se parte di una squadra, vedere queste donne e questi uomini in azione e come veder trasformate in realtà le parole degli ingredienti. Ci sono persone, ingredienti e dettagli che fanno la differenza. L’ultimo arrivato in cambusa si chiama Martino e non ha mezzi termini. “Adesso bisogna essere perfetti. Non sbaglia i tempi, le pieghe non sono dettagli sono sciatteria, le scarpe devono essere senza macchie, i pantaloni trasmettere eleganza, i colletti delle camicie serietà. Ve lo dico io che sono un grembiule, una volta eravamo quelli che difendevano gli altri capi di abbigliamento dalle macchie oggi siamo protagonisti, definiamo l’azione, la scelta, il taglio di un evento. Sì, sono protagonista. Mi piace finire nelle foto, mi piace che le persone si ricordino di quei grembiuli come del buon cibo, ogni dettaglio diventa parte dell’evento, ma parte decisiva. Anche un grembiule. E adesso basta. Si va in scena!”.

By Flyfood – Concept SOSTANZA 2024 – 2025